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  • Writer's pictureFederico Frulloni

Un viaggio nel mondo dell'allungamento.

Eccoci qui a parlare del famoso stretching. Tutti noi lo abbiamo fatto, tutti noi lo abbiamo trascurato, e tutti ci han sempre detto: più ne fai meglio è.


In realtà nei decenni è cambiata molto la visione di questa pratica in letteratura, e i pareri sono stati anche contrastanti tra loro. Finalmente negli ultimi anni sembra esser stata fatta chiarezza, ma scuole diverse continuano ad avere approcci diversi.


Stretching’ è un termine inglese che significa ‘allungamento’, ‘stiramento’. E’ utilizzato nella pratica sportiva e prevede esercizi che coinvolgono muscoli, tendini e articolazioni.

Fisiologicamente parlando lo stretching si applica quando compiamo movimenti che allungano la muscolatura; ne esistono varie tipologie, ognuna delle quali produce effetti e risultati diversi, anche se il fine è sempre l’allungamento muscolare.

Spesso mobilità articolare e l’allungamento muscolare non vanno però di pari passo ma non entriamo ora nello specifico nelle differenze e nel bilanciamento tra mobilità-flessibilità e forza. Occupiamoci più semplicemente della parte muscolare.


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Prima di entrare nei meccanismi tecnici dello stretching è bene sottolineare che è una componente importante in molte (non tutte) programmazioni di allenamento perchè oltre a migliorare la conoscenza del proprio corpo a livello di coordinazione e propriocezione, può prevenire infortuni sia a livello tendineo-legamentoso sia a livello muscolare. Ed inoltre praticare lo stretching significa anche aumentare la propria escursione articolare (r.o.m.) al fine di garantire gesti atletici ampi e puliti.


Entriamo nel tecnico. Mi preme farvi comprendere come avviene il controllo nervoso del movimento, e quindi quali solo i sistemi e gli organi che il nostro corpo possiede per capire quanto il muscolo deve contrarsi o allungarsi, perchè è proprio su queste cose che poi si deve giocare in un tipo di stretching piuttosto che in un altro.


Il controllo nervoso del movimento avviene sostanzialmente mediante:


Fusi neuromuscolari: sono formazioni situate all’interno dei muscoli e disposte in parallelo con i fasci di fibre muscolari. La funzione dei fusi è quella di rilevare la lunghezza del muscolo e la velocità di variazione della lunghezza stessa del muscolo. Svolgono quindi il compito di determinare il tono muscolare sulla base della lunghezza del muscolo e di individuare il numero di unità motorie da reclutare. Succede quindi che uno stiramento veloce del muscolo, interpretato dal sistema di controllo come un possibile rischio di strappo muscolare, innesca una reazione di contrazione, che arresta e inverte l’allungamento delle fibre.


Organi tendinei del Golgi: sono situati sulla giunzione muscolo-tendinea e sono sensibili allo stiramento dei tendini che consegue alla contrazione dei muscoli. Tale stimolo attiva le loro fibre sensitive, che inviano al midollo l’informazione, in risposta alla quale vengono inibiti uno o più motoneuroni del muscolo contratto, con l’effetto di diminuire l’intensità della sua contrazione. Quindi, al contrario dei fusi, questi organi non attivano, ma disattivano la contrazione, sempre per proteggere l’apparato locomotore, questa volta non da strappi muscolari però, ma da strappi del tendine per contrazione eccessiva.



I recettori articolari: informano il sistema nervoso sull’angolo articolare, sull’accelerazione angolare durante il movimento e sul grado di deformazione dell’articolazione stessa.


Tutte le informazioni raccolte dagli organi e dai recettori vengono integrate tra loro e con altri dati sensoriali di tipo tattile, visivo e vestibolare, così da costituire un sistema raffinato e complesso, in grado di garantire in ogni momento il miglior controllo delle attività motorie.


Noi con lo stretching possiamo abituare il nostro corpo a ‘ignorare’ le informazioni che ci arrivano da questi organi oppure abituarlo a sviluppare e attivare al meglio questi strumenti che possediamo, in base al tipo di stretching che facciamo. Ma vediamone alcuni.


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Stretching statico passivo: assumo una posizione di rilassamento per il muscolo interessato e mantengo x 20-30 secondi, con l’aiuto di un operatore. Utile o no? La questione può sembrare alquanto bizzarra ma la risposta è: dipende. Se i muscoli vengono allungati a dovere (gli effetti sul miglioramento della pochissima elasticità del tessuto connettivo sono tempo-dipendenti) vengono inibiti in parte i meccanismi autodifensivi da stiramento (in questo caso i fusi).

Tale allungamento risulterà senz’altro vantaggioso se stiamo parlando di atleti di endurance o comunque di persone che svolgono gesti ripetuti in gradi d’azione elevati, come le ballerine o i praticanti di arti marziali (non tutte), che necessitano di elevata flessibilità muscolo-articolare per espletare le loro performance e salvaguardarsi da infortuni.

Ma se parliamo di un atleta che fa gesti brevi ma intensi e veloci, magari con alti carichi, questa eccessiva flessibilità articolare e muscolare, determina in parte la perdita funzionale di quel famoso riflesso da stiramento dei fusi neuromuscolari, che non induce più alla contrazione di riflesso, non permettendo più al muscolo di reclutare adeguati livelli di forza, ma soprattutto, rallentando il gesto atletico.

Stretching statico attivo: Vedi sopra ma senza operatore. Valgono le stesse regole. Per analizzare nello specifico il gesto, in queste 2 tipologie di stretching riconosciamo una fase di pre-allungamento dove il soggetto entra in postura prestando attenzione alla respirazione e senza raggiungere il max allungamento per almeno 10 secondi, ed una seconda fase della durata di 20 sec dove si ricerca il max allungamento senza mai oltrepassare la soglia del dolore.

Stretching balistico: Propone l’aggiunta di piccoli molleggi e/o oscillazioni durante il mantenimento di una posizione di allungamento, nel tentativo di forzare il range di movimento o ‘risvegliare’ il meccanismo dei fusi e inibire (ma quasi mai è possibile) quello del Golgi.

Negli anni si è sottolineata più volte la pericolosità di questo tipo di stretching perchè produce un forte riflesso miotattico e spesso può portare a strappi e stiramenti.

Ma se fatto da un soggetto allenato un tipo di stretching di questo tipo può aiutare a compiere gesti molto più potenti e veloci.



Stretching dinamico: evoluzione dello stretching balistico, prevede molleggi e oscillazioni, ma lente e controllate, arrivando gradualmente a sfruttare la massima escursione articolare e migliorando la flessibilità dinamica. Per questo motivo è il tipo di stretching che viene maggiormente consigliato a inizio allenamento(a differenza dello stretching statico che si consiglia fare quando la muscolatura è già calda) in bike o in palestra (sempre che si voglia fare, può non essere fondamentale) , in quanto non rallenta troppo e non è troppo rischioso. Sulla base di questo tipo di stretching sono nate diverse discipline che stanno prendendo sempre più piede nei centri fitness, come il power yoga, che associato ad un allenamento specifico, può dare ottimi risultati.


P.n.f: “Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation”. Tradotto in italiano significa “facilitazione propriocettiva neuromuscolare”.

Questo tipo di stretching è diviso in 4 fasi:


– massimo allungamento raggiunto in modo lento e costante tramite forza esterna

– contrazione isometrica per 15-20 sec in posizione di massimo allungamento

– rilassamento di circa 5 secondi

– nuovo allungamento del muscolo di circa 30 secondi


Si applica in campo riabilitativo (penso che chiunque abbia subito un infortunio si sia sottoposto a questi trattamenti da un fisioterapista) e c’è una disputa sulle competenze di questo tipo stretching. Ma in larga parte è considerata competenza del medico-fisioterapista. Spesso vedete utilizzare questo metodo per i calciatori a bordo campo.


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E’ un metodo efficacissimo perchè sostenuto da forti ragioni fisiologiche, sia in caso, come detto sopra, di post infortunio – post intervento – post immobilizzazione, sia, e sempre più, su atleti che hanno un’estensibilità sopra la norma o al contrario scarsa mobilità. Il pnf prevede quindi una facilità nella gestione del metodo ed un veloce risultato, che però va mantenuto nel tempo, magari poi con l’impiego di altri metodi di stretching, eseguibili senza l’aiuto di una seconda persona.


Metodo C.R.A.C: Deriva dalle parole inglesi “Contract Relax Antagonist Contract” che in italiano significa “contrazione, rilassamento e contrazione dei muscoli antagonisti”. È simile al P.N.F., da cui si differenzia nella fase finale dell’allungamento. Prevede, infatti, l’intervento attivo (contrazione) dei muscoli agonisti del movimento. Anche in questo caso è spesso necessario l’aiuto di una seconda persona che offre la resistenza durante la contrazione isometrica degli antagonisti, e che aiuti l’allungamento degli antagonisti nelle fasi di contrazione degli agonisti. Sfruttando l’inibizione reciproca, il C.R.A.C. somma all’efficacia del P.N.F., quella dello stretching attivo.


Approcci globali allo stretching: Negli anni numerosi studiosi hanno fatto notare che il nostro corpo si muove per catene muscolari (ricordate articoli precedenti?). Quindi molti si sono chiesti: perchè se io alzo un peso utilizzando una catena muscolare non dovrei anche allungare il corpo utilizzando catene muscolari lunghe? Fu così che da uno stretching analitico si passò a uno stretching globale.

Facciamo un esempio che in questi casi aiuta a capire, l’elastico. Se io ho un elastico lungo, e ne tiro una parte, simulando una contrazione, la parte restante viene dietro, simulando un allungamento. Ma nel nostro corpo è vero anche il contrario, ossia, se da una parte allungo, il mio corpo compensa e accorcia da qualche altra parte. Accade così che quando io cerco di allungare un muscolo con lo stretching analitico (es solo quadricipite, solo femorale ecc…) tanti altri della stessa catena muscolare potrebbero non allungarsi, o far si che si assumano posture dannose.



Nascono così diverse scuole che tengono conto di questo complesso sistema, le più famose sono sicuramente quelle di Mezieres, Alexander, Campo Chiuso e Pancafit.

Per capirci Mezieres è quella signora che ha praticamente inventato i lavori di allungamento in postura a squadra, poi rivisti e rivisitati da altri successivamente. In realtà questa donna non lavorava nemmeno con l’ausilio di lettini o panche particolari, ma semplicemente a corpo libero, con ottimi risultati.

Questo tipo di stretching può rientrare nella ginnastica posturale perchè può anche aiutare a correggere certi atteggiamenti o posture errate. Può essere quindi praticato a freddo come lo stretching dinamico e le posizioni, per quanto siano difficili da tenere, possono essere mantenute anche per alcuni minuti.

Chiaramente anche in questo caso, come per lo stretching statico, non è il metodo migliore per sportivi che compiono gesti esplosivi, ma lontano dalle gare o dagli eventi, laddove si reputi più importante aggiustare una situazione di rigidità o compensi (compensi sui quali è giusto lavorare, vi ricordate? non tutti i compensi sono un male) si può benissimo praticare.


Il metodo pancafit® tiene in allungamento la catena muscolare posteriore, mentre è possibile eseguire esercizi d’allungamento specifici per altre catene. L’idea di pancafit® nasce dal professor Raggi®, sulla base delle teorie della Mézières. La catena posteriore, essendo antigravitaria, è coinvolta in tutte le stazioni, eccetto quella sdraiata, per questa ragione è la più potente ed è anche la più retratta.

In definitiva i muscoli sono collegati l’uno con l’altro dalle fasce che avvolgono i muscoli e dal tessuto connettivo, che a sua volta avvolge ogni componente del corpo; quando anche un solo muscolo per qualche ragione si accorcia (scarso movimento, traumi, tensioni, stress, dolore, eccesso di movimento, posture scorrette etc.), esso provoca un’azione sull’intera catena muscolare, la quale disturberà inevitabilmente tutta la struttura muscolo-articolare, fino ad arrivare agli organi.

Il dolore o l’infiammazione comparirà nel punto più critico, più “debole” della struttura; oppure nel punto dove c’è maggiore compressione articolare, rigidità o tensione. Qui inizieranno a manifestarsi problemi, dolore, infiammazione e, come ultima fase, degenerazione artrosica.


Spesso questi metodi ci consentono anche di capire dove agire e dove poi fare stretching analitico, perchè come detto sopra fanno venire subito all’occhio l’anello debole. Poi che questo sia realmente il punto critico è da vedere (perchè a volte il problema vero non è dove fa male), ma ne parleremo in un altro articolo dedicato alla ginnastica posturale.


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In linea generale quindi: lo stretching è un ottimo metodo. Basta sapere come e quando utilizzarlo.

Statico attivo o passivo sempre a fine allenamento, scopo allungamento e prevenzione. Balistico come riscaldamento per sport forti ed esplosivi, ma solo in soggetti ben allenati. Dinamico come riscaldamento, defaticamento o come allenamento a se stante. Pnf per riabilitazione o riscaldamento nello sport, sempre per atleti di buon livello. Globale per allungamento di intere catene muscolari, meglio a freddo per correggere la postura, a caldo per prevenzione-allungamento generale.


Spero di avervi aiutato a capire un po’ questo strano mondo.


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